Partecipare ad una campagna elettorale in un Paese come Pizzoli è una esperienza che mi sta insegnando tantissime cose e sta chiarendo anche alcuni interrogativi che mi erano sorti in merito alla difficoltà che tanti paesi del Mezzogiorno pur dotati di caratteristiche e potenzialità proprie, tali da far ipotizzare una possibilità enorme di sviluppo e quindi il decollo verso traguardi più ambiziosi che siano di beneficio per tutti, rimangano invece chiusi nella morsa di un provincialismo, di una piccineria che finisce per soffocarne il futuro.
Ho visto in questi giorni e letto, di una modalità di comunicazione che nelle intenzioni parrebbe volersi assimilare ad una moderna concezione del rapporto con l’elettorato ma che in realtà richiama e riporta a metodi quarantotteschi. Addirittura in una occasione ho sentito citare Dio e Stalin e cabine elettorali, evocazione divenuta da decenni un cult appartenente ai ricordi di una generazione ormai sulla soglia della vecchiezza se non addirittura defunta.
Ho visto – ed è sacrosanto diritto di ognuno poterlo fare, per carità – coppie o trii di postulanti girovagare in un porta a porta con una metodologia rispolverata per l’occasione, e vantarsi di aver fatto tesoro delle problematiche espresse nelle conventicole delle singole case per poi inserirle nei programmi elettorali.
I miei capelli grigi, e l’essere io stessa una cittadina inserita e radicata in un ben preciso contesto, mi autorizzano però a pensare che a volte, anzi, il più delle volte, un cittadino interrogato nel segreto della sua abitazione sui suoi bisogni, finirà per rappresentarti solo necessità del tutto contingenti e che l’unico argomento di carattere generale che lo interessi sia il lavoro ma solo per la soluzione del suo personale problema, oppure la scuola, e quest’ultima neanche tanto come centro dispensatore di cultura, di saperi, di superamento di barriere sociali, quanto piuttosto come luogo in cui custodire i figli per un tempo della giornata, delegando alle Istituzioni trasporti, alimentazione e salute.
Ora, in tutta franchezza, la mia idea di paese è che il tubo di scarico di Antonio, oppure il vicino rumoroso di Maria, oppure il paletto che intralcia la recinzione di Pasquale,o il pallone del bimbo che ha fatto cadere il vaso di fiori di Filomena , seppure inconvenienti degni della massima attenzione e cura perchè vengano risolti al più presto, non mi sembra che possano essere argomenti tali da poter concorrere alla stesura di un programma amministrativo che già di per sè dovrebbe contenere la visione di uno sviluppo d’insieme del territorio, che tenga sì nel debito conto le richieste particolari ma che comunque debba essere innanzi tutto uno strumento per la crescita globale di tutti i cittadini in termini di partecipazione alla vita del paese, uno stimolo alle nuove generazioni perché apprendano, contribuiscano, innovino e non si sentano escluse da nessuno dei processi di miglioramento che si intendono realizzare insieme.
La mia idea di paese è quella di una comunità che non chiuda il suo futuro all’interno di uno slogan ma sappia aprirsi a tutte le sfide che l’essere un Comune dell’Europa offre ai giovani e ai cittadini tutti.
Ben vengano tutte le opportunità che il territorio potrà e dovrà offrire magari richiamando nuovi insediamenti e privilegiando le nuove tecnologie ma nessuno gridi allo scandalo se un giovane che avrà deciso il suo futuro in base agli scambi interscolastici , ai viaggi che sin da adolescente avrà fatto, alle mille opportunità e conoscenze che gli si saranno presentate per gli studi sostenuti, decida di inventare il suo futuro fuori del territorio di nascita.
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